Ho sempre più la sensazione che la (per me) mitica figura del giornalista, si stia scolorendo (per usare un termine attuale, stia cadendo nell’oblio) a favore di una schiera di Blogger.

Sì, storyteller o content creator che parlano in prima persona. Individui armati di smart-phone pieni di app. di filtri e di un interessante tariffario a post, anzi a selfie (nessuno legge, tutti guardano le foto). Provate a parlare con un Blogger di deontologia professionale.
Le bimbette della GenerazioneZ (dai 12 anni in sù), sognano infatti di
diventare la Ferragni (Millennials), non la Fallaci (mito delle generazioni x e Baby Boomer).

Tutti a sputar veleno contro gli odiosi influencer ma infondo l’ipocrisia regna sovrana, il bisogno di visibilità dilaga e crea fatturato.
La privacy ai nostri giorni, è una chimera.

Tra l’altro è bizzarro parlare del confine tra libertà di informare (diritto di cronaca) e diritto alla riservatezza quando perdiamo in un click, ogni riservatezza, quotidianamente. Mi riferisco a quella “Licenza Mondiale Gratuita, Non Esclusiva Per Utilizzo Contenuti” che ci sfila il consenso in meno di un secondo (barrando una casella) quando creiamo qualsiasi account social. Nessun social è gratuito. In questa epoca non esiste la gratuità e perché dovrebbe?? Si tratta solo di pagare in modo diverso. Gli Zuckerberg di turno infatti si arricchiscono, vendono i nostri dati a terzi e quarti insomma al miglior offerente.
E poi vogliamo parlare del radicale cambiamento del concetto di
IDENTITÁ PERSONALE
ai tempi di Instagram e Twitter?

Insomma, morale semiseria della storia: la deontologia professionale va adeguata, la legislatura in materia va certamente adeguata ma soprattutto, penso che sia necessario un contatto diretto tra le giovani generazioni digitali e i cosiddetti adulti. Tra influencer e giornalisti.